Mi trovo qui e alcuni miei compagni sono ormai agonizzanti.
Chiuso in questa cella da giorni, rabbrividisco al pensiero dell’atroce battaglia combattuta. Quanto orrore, quanto sangue versato. Quanti giovani hanno perso la vita. I loro corpi riversi, sfigurati, smembrati e ridotti a pezzi non avranno neppure sepoltura.
Il mio profondo desiderio di difendere la patria, l’onore e i valori in cui credevo si perdono nei fumi delle esplosioni. Mi è rimasta solo la rabbia, il dolore e tanta tristezza infinita.
Ho visto troppa sofferenza, l’ho toccata, respirata, scorta nei volti straziati e nei cuori affranti.
E, mi tornano in mente i miei anziani genitori. Due grandi persone unite da un profondo e rispettoso amore inviolato nel tempo. Il loro affetto trasmesso con semplicità di gesti e continue attenzioni ne smussavano le severità.
Ora più che mai sento l’intima mancanza delle nostre domenica, quando di buon mattino con la vecchia utilitaria verde che borbottava, ci recavamo in città vestiti a festa per partecipare alla funzione religiosa.
Don Vito attendeva i fedeli sull’uscio della chiesa; ci stringeva la mano e benediva la nostra presenza.
Quanta pace dentro quelle mura. Conclusa la messa, nel piccolo bar “Da Mario” si faceva colazione, un lusso a quel tempo: ingurgitavo con piacere la tazza di caldo cioccolato e il cornetto con la crema di zabaione sporcandomi di zucchero a velo e panna montata. La mamma mi sgridava perché impasticciavo la camicia migliore mentre papà Franco rideva a crepapelle. Ero alquanto buffo con i baffi bianchi sopra al labbro.
A quel tempo parevano piccole cose insignificanti ma ora, questo spazio sporco, angusto, dove si respira odore di morte e urina, il mio cuore anelava a quei ricordi.
Il vuoto, la paura, la fine imminente, mi rammentò in un flash la nostra pochezza di uomini peccatori.
Cerco un po’d’azzurro appena visibile dalla piccola finestrella posta in alto chiusa da una grata.
Il cielo aveva persa la sua magia, il suo infinito, ridotto a pezzi. La tenebra accompagnava i miei giorni.
Sfinito, mi accovacciai in un angolo “lontano”dai lamenti, dai gemiti e dagli ultimi respiri.
Un sorriso strozzato si disegnò nel mio viso per pochi secondi: rivedevo in un susseguirsi di scene bizzarre, Poldo, il mio vecchio fedele cane. Un “terribile” bastardino, peloso e arruffato, color ruggine, sempre a caccia di guai.
L’ultima volta mi portò con fierezza dimenando la coda, il pulcino scappato dall’aia di Mariuccia, la nostra vicina, cacciato e rincorso fino allo stremo. Orgoglioso di averlo riportato in salvo. Purtroppo privo di vita.
Chiudo gli occhi e mi sforzo di non piangere ma due lacrime scendono silenziose. Le asciugo con il dorso della mano.
Mi avvicino a Sandro, disteso e inerme. Respira appena… gli accarezzo i capelli scomposti e maditi di sudore. Si gira un attimo verso di me con il volto e mi accenna un debole sorriso. Il suo ultimo sorriso di vita. Raccolgo le mani in preghiera e fissando quell’azzurro fatto a pezzi, con voce appena percettibile recitai: “Pater Nostro, che sei nei Cieli…”
nereidebruna
Chiuso in questa cella da giorni, rabbrividisco al pensiero dell’atroce battaglia combattuta. Quanto orrore, quanto sangue versato. Quanti giovani hanno perso la vita. I loro corpi riversi, sfigurati, smembrati e ridotti a pezzi non avranno neppure sepoltura.
Il mio profondo desiderio di difendere la patria, l’onore e i valori in cui credevo si perdono nei fumi delle esplosioni. Mi è rimasta solo la rabbia, il dolore e tanta tristezza infinita.
Ho visto troppa sofferenza, l’ho toccata, respirata, scorta nei volti straziati e nei cuori affranti.
E, mi tornano in mente i miei anziani genitori. Due grandi persone unite da un profondo e rispettoso amore inviolato nel tempo. Il loro affetto trasmesso con semplicità di gesti e continue attenzioni ne smussavano le severità.
Ora più che mai sento l’intima mancanza delle nostre domenica, quando di buon mattino con la vecchia utilitaria verde che borbottava, ci recavamo in città vestiti a festa per partecipare alla funzione religiosa.
Don Vito attendeva i fedeli sull’uscio della chiesa; ci stringeva la mano e benediva la nostra presenza.
Quanta pace dentro quelle mura. Conclusa la messa, nel piccolo bar “Da Mario” si faceva colazione, un lusso a quel tempo: ingurgitavo con piacere la tazza di caldo cioccolato e il cornetto con la crema di zabaione sporcandomi di zucchero a velo e panna montata. La mamma mi sgridava perché impasticciavo la camicia migliore mentre papà Franco rideva a crepapelle. Ero alquanto buffo con i baffi bianchi sopra al labbro.
A quel tempo parevano piccole cose insignificanti ma ora, questo spazio sporco, angusto, dove si respira odore di morte e urina, il mio cuore anelava a quei ricordi.
Il vuoto, la paura, la fine imminente, mi rammentò in un flash la nostra pochezza di uomini peccatori.
Cerco un po’d’azzurro appena visibile dalla piccola finestrella posta in alto chiusa da una grata.
Il cielo aveva persa la sua magia, il suo infinito, ridotto a pezzi. La tenebra accompagnava i miei giorni.
Sfinito, mi accovacciai in un angolo “lontano”dai lamenti, dai gemiti e dagli ultimi respiri.
Un sorriso strozzato si disegnò nel mio viso per pochi secondi: rivedevo in un susseguirsi di scene bizzarre, Poldo, il mio vecchio fedele cane. Un “terribile” bastardino, peloso e arruffato, color ruggine, sempre a caccia di guai.
L’ultima volta mi portò con fierezza dimenando la coda, il pulcino scappato dall’aia di Mariuccia, la nostra vicina, cacciato e rincorso fino allo stremo. Orgoglioso di averlo riportato in salvo. Purtroppo privo di vita.
Chiudo gli occhi e mi sforzo di non piangere ma due lacrime scendono silenziose. Le asciugo con il dorso della mano.
Mi avvicino a Sandro, disteso e inerme. Respira appena… gli accarezzo i capelli scomposti e maditi di sudore. Si gira un attimo verso di me con il volto e mi accenna un debole sorriso. Il suo ultimo sorriso di vita. Raccolgo le mani in preghiera e fissando quell’azzurro fatto a pezzi, con voce appena percettibile recitai: “Pater Nostro, che sei nei Cieli…”
nereidebruna
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