Il mal di testa era peggiorato e lo stomaco dolorante mi provocava un pesante senso di nausea. Avevo abusato, come mio solito, con dei calmanti che spesso prendevo soprattutto quando dovevo volare.
Riavute le valigie presi un taxi direzione Roma nord, periferia.
Il cielo plumbeo e color acciaio annerì ancor di più il mio stato d’animo.
Novembre... un mese che non ho mai amato: umido, freddo, grigio, lattiginoso. Il mese dei morti!
Dall’Inghilterra il viaggio in aereo non era stato lungo, ma da sempre avevo paura di volare e si aggiungeva anche la poca fiducia nelle compagnie. Infatti avevo preso un boeing 747 dell’Alitalia per maggior sicurezza.
Eccomi di nuovo a casa dopo molti anni; avrei rivisto il mio luogo natio, la gente semplice e cordiale, i viali antichi e storici, la chiesa e il lungo campanile che addita al cielo e la mia villa disabitata da tempo che domina dall’alto del colle il panorama sottostante.
Dopo infiniti ripensamenti mi ero decisa a ritornare.
Il raccordo anulare era intriso di traffico e gli strombettii continui mi aumentarono il pulsare alle tempie.
Qualche goccia di pioggia ticchettò sui vetri dell’auto.
L’autista canticchiava un motivetto allegro di musica anni ‘60 che trasmettevano alla radio. Mi innervosii ancor di più. Ero stanca e desideravo solo silenzio.
Quando il taxi imboccò la strada in salita e fece i primi due tornanti capii di essere ormai a casa. Ero felice? Non lo so, almeno non ancora. Non riuscivo a comprendere il mio stato d’animo attuale.
Tredici anni erano trascorsi senza che ne sentissi la mancanza o provassi il desiderio di ritornarvi.
La cancellata dopo pochi attimi si aprì automaticamente. Notai sopra la targhetta ottonata del nome della villa: “ Villa dei Marchesi Ricci” la telecamera fissata in alto sul pilastro che puntava solerte l’occhio vigile sull’entrata.
Il taxi si fermò davanti al piazzale.
L’autista scaricò le valigie; pagai.
Mi guardai attorno e provai un leggero brivido d’emozione. Pareva che tutto fosse immutato e che il tempo non avesse in alcun modo aggiunto nuove rughe all’ambiente. Il giardiniere e i guardiani avevano fatto un ottimo lavoro. Il prato inglese era falciato a pelo raso da poco; nessuna erbaccia spuntava lungo il vialetto piastrellato.
Cespugli ancora in fiore di rosa canina color carminio abbellivano qua e là il verde.
La fontana ornamentale zampillava spruzzi continui di limpida acqua che ricadevano in tante goccioline di pioggia sulla vasca in marmo adornata da piccoli putti in marmo bianco.
Ero frastornata e l’ansia palese mi inumidiva le mani e accelerava i battiti del cuore.
Gastone, l’ormai anziano maggiordomo di famiglia, mi diede il benvenuto:
- Signorina Letizia, è un grande piacere riaverla di nuovo qui con noi. Manca da troppi anni… vostro padre, il marchese, ha dato disposizioni a tutta la servitù perchè il vostro soggiorno a Villa Ricci sia perfetto sotto ogni aspetto – e il sorriso sincero in quel viso familiare dove il tempo aveva marcato il suo cammino e i modi galanti e servizievoli mi fecero ritornare come un tuffo al passato.
- Mamma, com’è brutta la notte, io ho paura – e le braccia allungate verso la madre, cercavano nel contatto materno, il conforto e la protezione. Aveva appena avuto un incubo ed era corsa nel lettone della mamma Rebecca, visto che il papà Benito era in Germania per un congresso.
- Figlia cara, non aver timore… il buio è il momento in cui tutti i cuori e i respiri si riposano dopo lunghe ore di impegno. Nel sonno ritrovano l’energia perduta e si preparano in attesa della luce. -
E quella notte priva di luna e di stelle violentata da un forte temporale e da raffiche di vento impetuoso fu per Letizia l’inizio perpetuo di un’oscurità densa come l’inchiostro che nascose per lungo tempo, con maestria, ai suoi occhi azzurri i tanti bei colori arcobaleno e le sfumature cangianti della vita.
Un grido lungo e penetrante svegliò d’improvviso la giovane Letizia. Aveva forse sognato? O era solo la furia del temporale… Si guardò attorno: lampi e saette squarciavano le tenebre illuminando a intermittenza la stanza da letto. Ci vollero alcuni secondi per riacquistare lucidità. Si allungò per accendere la luce, ma non funzionò; evidentemente il brutto tempo aveva creato qualche guasto alla centralina.
Scese dal letto e cercò nel cassettino del comodino una candela. Con un leggero tremore alle mani, frugando fra le cianfrusaglie, trovò anche l’accendino. Indossò la vestaglia a fiorellini color avorio, regalo della mamma al suo quindicesimo compleanno e uscì fuori nel corridoio. La porta cigolò con un suono sinistro che provocò a Letizia inquietudine e tensione. Un forte tuono la fece rabbrividire; nei vetri chiusi delle finestre la pioggia batteva con rabbia e insistenza.
Le porte delle altre stanze erano chiuse, tranne una… leggermente scostata: la camera della mamma.
La fiamma della candela oscillò mossa da una folata d’aria che investì la giovane quando aprì completamente la porta della camera.
- Mamma… mamma, sono io… – e si avvicinò al letto: vuoto! La porta finestra che immetteva nel balcone era aperta. Le lunghe tende bianche svolazzavano fluttuando come sinistri fantasmi. Letizia cominciò a tremare non solo dall’aria fredda e umida che proveniva dal terrazzo ma anche da una spiacevole strana sensazione. Forse doveva chiamare qualcuno; Maria, la domestica… Carmela, la cameriera, Gastone, il maggiordomo, Pedro, l’addetto alle scuderie e Tonio, il giardiniere… ma riposavano nella depandance, tranne Maria che dormiva nella cameretta adiacente alla cucina.
Si fece coraggio e riparando la candela dall’aria con la mano varcò la portafinestra del terrazzo. Il buio che da sempre, sin da piccola, la spaventava l’avvolse completamente. Alcuni lampi e la luce del lampione nel giardino sottostante le fece ritrovare un po’ di autocontrollo calmandole i nervi tesi; si espose dalla ringhiera, guardando con attenzione a destra e a sinistra. E vide… vide quello che non avrebbe mai potuto immaginare e che una ragazzina avrebbe mai dovuto vedere. Al di sotto, accanto ad un cespuglio di rose canine il corpo inerme, immobile, fradicio e spettrale di sua madre riversato su di se.
Si risvegliò nel suo letto la mattina successiva; un raggio di sole filtrò attraverso i tendaggi riversando la sua luce sul guanciale. Pochi secondi dopo, in un flash le ritornò in mente il temporale, la portafinestra aperta… quel corpo… e si destò di scatto. Un incubo, sì era solo un incubo! E si calmò. Un respiro profondo e guardò la sveglia sul comodino. Erano quasi le dieci. Accanto notò la candela e un tuffo al cuore le fece mancare il respiro. Saltò giù in fretta dal letto e corse fuori…
-Mamma… mamma – ma la stanza era vuota. Il letto composto e la camera nel più assoluto silenzio. La stanza da bagno era in perfetto ordine; nessun indumento personale. L’armadio era vuoto, niente abiti, niente biancheria.
Inforcò le scale e raggiunse la cucina. Maria era intenta ad infornare un dolce di marmellata e il profumo di zucchero e farina aveva già intriso dolcemente l’aria. La sentì e si girò.
- La mamma, dov’è ?- chiese con un fil di voce Letizia.
- Cara, che dite? Non state bene? Venite qui… sentiamo se avete qualche linea di febbre – la domestica le si avvicinò e mise il palmo della mano sulla fronte della giovane.
- Maria, sto bene ma… la mamma dov’è? -
- Niente febbre, siete fresca come una rosa, figlia mia. Dai, accomodatevi e fate colazione… -
- Ma non mi senti… perchè non mi rispondi – La domestica, al servizio dei marchesi Ricci da parecchi anni, la guardò perplessa.
- Avete avuto il solito incubo, immagino, bimba cara. – La giovane sbuffò alzando le spalle.
- Può essere… ma ti ripeto, dov’è la mamma?… -
- Mi arreca così tanto dolore ricordarvi quei momenti. Cercate di non pensarci e fate colazione. Il latte si sta raffreddando! – e le avvicinò di più la tazza ancora fumante della bianca bevanda posta sul tavolo. -
- Non voglio il latte, Maria… ora no. La camera della mamma è vuota. Dov’è andata… perchè non è qui con noi… -
- Siete testarda e insistente come vostro padre; di quello che è accaduto un anno fa, non voglio riparlarne, Letizia cara. – Irritata e nervosa scostò con rabbia la sedia che cadde per terra e uscì di corsa dalla cucina.
Raggiunse le scuderie e trovò Pedro intento a strigliare la sua cavalla bianca Morgana.
- Oh signorina, buon giorno. Ha visto che bella giornata dopo il brutto temporale di stanotte? – La cavalla appena vide Letizia girò la testa e cercò la sua mano; la splendida criniera si mosse come fili di seta. Accarezzò il pelo liscio dell’animale che tirò fuori la lingua e gliela inumidì.
- Senti Pedro – ma fu interrotta.
- Ditemi signorina, desiderate che selli Morgana?E’ quasi pronta! -
- Ma oggi cosa avete tutti? Non mi lasciate parlare. No, Morgana la cavalcherò dopo, ora devo parlarti… – e quasi urlò indispettita. Pedrò rimase ammutolito. Poi si schiarì la voce e aggiunse:
- Mi rincresce… avrei da fare. Mi aspetta la strigliata a Nerone e Attila – e si avviò verso il fondo della stalla. Letizia lo seguì mentre soffocava l’ira che cresceva dentro di se.
Rimase per parecchi secondi lì a fissare le spalle di Pedro che incurante riprese a strigliare con più vigore lo stallone Nerone, il quale nitrì innervosito dai gesti bruschi dello stalliere.
Letizia sbuffò e uscì dalla scuderia. Poi, si fermò... tornò indietro e velocemente sellò Morgana.
Si inoltrò al galoppo nel grande giardino circolare della villa seguendo il sentiero battuto, fra altri pini e grosse querce. Doveva cercare di rilassarsi un po' e di riacquistare calma e padronanza. Qualcosa non le era chiaro. Il personale evitava di rispondere e tergiversava. Si chiese più volte il perchè.
Il padre era troppo impegnato e sicuramente non avrebbe risposto alle sue telefonate, inutile quindi tentare.
Al trotto spronò la cavalla; i lunghi capelli chiari e le bianche vesti da camera fluttuavano all'aria come nuvole vaporose.
Tirò le redini e si fermò: scese a terra e accarezzò la testa di Morgana e con le labbra le sfiorò il naso. L'adorava e con lei si sentiva libera e serena gustandone pienamente il vero senso. Amava correre nei boschi incitandola, e raggiungere il fiume che scendeva lento nella valle per poi sparire nel lontano mare; s'inebriava di profumi campestri, di suoni e canti d'uccello, di cieli azzurri e limpidi...
Ritornò a casa, senza ansia.
- Signorina - le venne incontro sull'uscio, Maria chiaramente arrabbiata - ma è il modo di sparire così e andare a cavallo in quello stato? Vi buscate un malanno... ma guarda un po'... oggi mi state facendo impazzire. Su, andate in camera a vestirvi in modo decente. - Letizia non ribattè. Lasciò le redini a Pedro e salì nella sua stanza da letto.
Gastone il maggiordomo stava scendendo le scale.
- Eccovi finalmente... Maria è su tutte le furie. State bene, signorina? - annuì.
Passando davanti alla camera della madre sentì però un leggero rumore di passi ovattati all'interno. Poi le parve di udire il cigolare di un'anta dell'armadio. La porta era chiusa. Un sorriso si stampò automaticamente nel sul viso che divenne radioso e con voce appena percettibile chiamò:
- Mamma... mamma...! - e aprì la porta senza esitazione. La portafinestra era spalancata e una raffica improvvisa di vento mosse le tende e aprì l'anta dell'armadio che andò a sbattere sullo specchio fissato nella parete. Cadde a terra violentemente e si frantumò in infiniti pezzi. In ogni scheggia vide riflessa la sua immagine pallida e spaventata come in un ologramma. Rabbrividì provando un senso di inquietudine e di tensione; per un attimo le parve di non essere sola... Scosse la testa frastornata. Scacciò l'ansia con un profondo respiro e si diresse velocemente nella propria stanza.
Si cambiò d'abito indossando un paio di jeans e una canotta azzurra. Si legò i capelli a coda di cavallo e si avviò verso le scale. Si soffermò un attimo davanti alla porta della camera delle madre Rebecca. Risentì quei passi e altri strani incomprensibili rumori e senza tergiversare la spalancò di nuovo.
Curva sul pavimento c'era la cameriera Carmela intenta a raccogliere i pezzi dello specchio sparsi sul pavimento. Si girò e la vide.
- Ah, signorina, siete voi... avete visto che disastro? Lo specchio è caduto per terra... forse un colpo di vento. Stamattina presto ho arieggiato la stanza e ho dimenticato di chiudere la finestra. Che sbadata! Speriamo non sia indice di un cattivo presagio. Io sono superstiziosa...oh, povera me! - e continuò a pulire.
continua
Mi ripeto: delizioso racconto. Un po' triste, forse, ma molto suggestivo :-) Al prossimo capitolo.
RispondiElimina